Perché l’Open Innovation è un’idea disruptive

L’Open Innovation è il nuovo paradigma dell’innovazione che porta valore aziendale attraverso la contaminazione di idee e competenze esterne.
open innovation

L’Open Innovation crea innovazione in azienda almeno dal 2003. La prima volta che si cominciò a parlare di innovazione aperta non era ancora ben chiaro se si trattasse di un flop totale oppure della svolta epocale. Oggi siamo del secondo avviso, ma immaginate che fino a quel momento l’unica modalità per fare innovazione era la cosiddetta closed innovation, ovvero limitare gli orizzonti di ricerca entro i propri confini aziendali.

Un mood molto anni ’80, che non riusciva più a colmare il gap venutosi a creare fra la dinamicità sociale ed economica, amplificata dalle nuove tecnologie, e i modelli di business lenti. La scollatura era troppo evidente; il ciclo di vita dei prodotti si accorciava, e le aziende non tenevano il passo. Ma la vera innovazione arriva quando si pensa differentemente, direbbe qualcuno. Ed ecco che un pensiero disruptive ha ribaltato la situazione, permettendoci di parlare oggi dell’Open Innovation come della strategia che crea reale valore alle imprese.

Perché l’Open Innovation è un’idea disruptive

Quando Henry Chesbrough, noto economista statunitense, capì che l’innovazione si trova fuori dal proprio orticello, stava ufficialmente accompagnando il mondo dell’economia aziendale verso il futuro. Ne uscì un saggio: Open Innovation, The New Imperative for Creating and Profiting from Technology, da cui possiamo estrarre 2 insegnamenti fondamentali:

  1. Se è il concetto stesso di innovazione in discussione
  2. L’innovazione va necessariamente ricercata al di fuori di essa

Riconoscere i cambiamenti sociali in corso e adattarsi ai tempi è pensare disruptive. Acquisire competenze nuove dalla contaminazione di idee con fonti esterne è pensare disruptive. L’Open Innovation è di conseguenza il nuovo paradigma dell’innovazione perché ha permesso alle aziende di cambiare prospettiva, mettendo in discussione il vecchio sistema per far spazio al nuovo.

Impariamo ad utilizzare al meglio le nuove tecnologie: se queste ultime misurano l’avanzamento sociale, l’economia, per trarne profitto, deve utilizzarle per ottimizzare i propri sistemi gestionali e svecchiare i modelli di business.

L’Open Innovation fa esattamente questo: implementa lo sbocco verso nuovi mercati profittevoli attivando il matching fra azienda e partners esterni attraverso strumenti concreti quali:

  • Il budget necessario, reperibile con la partecipazione a bandi nazionali, internazionali e campagne di fundraising.
  • Il supporto strategico di competenze verticali per ogni fase di progettazione.

E l’innovazione può nascere sia all’interno per essere ceduto poi all’esterno, oppure al contrario, ma quale che sia il calcio d’origine, la parola d’ordine resta: contaminazione.

Esempi concreti di Open Innovation

Ovvero, quali sono gli strumenti concreti attraverso cui si realizza l’Open Innovation e dove cercare i partners esterni insieme ai quali metterla in pratica. Ma prima di analizzare questi due punti, dobbiamo rispondere alla domanda: quando giunge il momento per un’azienda di aprirsi ai vantaggi dell’Open Innovation?

Un’analisi interna circa la strutturazione del proprio modello di business e un check in fatto di obiettivi raggiunti con la strategia corrente è d’obbligo. Il bisogno di apportare innovazione può arrivare anche in momenti diversi, magari in fase di ricerca di nuove idee oppure in fase di validazione. Ed è a questo punto che si diramano 2 modalità meglio conosciute come:

  1. Inbound Innovation

Sotto questa definizione rientrano tutte le attività di collaborazione esterna svolte in fase di ricerca. I touch point fra le aziende, startup, centri di ricerca o università si realizzano attraverso i seguenti canali:

  • Hackathon: una sorta di chiamata alle armi. Un’azienda lancia una sfida con lo scopo di valutare l’idea innovativa più originale. Siemens è nota per incentivare i propri dipendenti a sviluppare nuovi servizi digitali.
  • Calls for idea: strumento simile al precedente, ma strutturato alla stessa maniera di un bando di concorso pubblico.
  • Investimenti in startup: adocchiata la startup più innovativa del settore, è la stessa azienda che punta ad investirci su chiedendo in cambio una quota del capitale di rischio. È ciò che fa Google Ventures, appartenente alla holding Alphabet Inc., con le startup promettente nel settore informatico.
  • Outbound Innovation

Il secondo momento equivale alla fase di testing e validazione di un’idea imprenditoriale innovativa e potenzialmente fruttuosa. In ottica open, si realizza soprattutto attraverso:

  • Joint venture: si tratta di una collaborazione fra più imprese, focalizzate su un obiettivo comune. Si condividono sia gioie e dolori dell’investimento.

La collaborazione fra startup e aziende è possibile con le reti di imprese

Accorciare le distanze fra aziende e startup è dunque possibile in ottica di Open Innovation. Ma se sembra impossibile entrare in diretto contatto con le aziende, ciò che vi serve sono gli incubatori e acceleratori. Individuare le startup con il modello di business più interessante a seguito di un’attenta fase di scouting, è un modo intelligente per le aziende per creare profitto, e aiutare società meritevoli ad immettersi sul mercato di rifermento.

Ed è a questo punto che s’inseriscono a pieno titolo le reti di imprese. Rete Mediterranea non poteva optare per una prospettiva diversa, e abbiamo fatto dell’innovazione aperta il nostro modus operandi. Nasciamo in seno all’Open Innovation, integrando a monte le best practices che mirano ad avvicinare le grandi aziende con la dinamicità delle giovani startup. Qualche esempio? Non molto tempo, un co-founder di Rete Mediterranea, TheQube ha attivato un fundraising che ha fruttato molti euro alle startup che seguiva.

E il dado è stato appena tratto.

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